Correva l’estate 2019, quando un bel giorno da Bell’Europa – travel magazine con cui collaboro da una vita – mi chiesero se volessi fare un salto in Siberia. Come chiedere a un orso “che ne diresti di un bagno nel miele?”. Ora, a me il miele non piace, anche se molto probabilmente discendo dagli orsi. Tuttavia la Siberia mi attizza eccome, e allora via, verso nuove avventure! Avventure che Bell’Europa ha appena pubblicato sul numero di marzo. Avvertenza: il pezzo non l’ho scritto io ma qualcuno che ha una conoscenza della Russia ben superiore alla mia, e che di nome fa Claudia Sugliano. Io nel mio piccolo ho contribuito sul versante iconografico.
Dunque, ‘itinerario è stato pressapoco il seguente: giunto nella città d’Irkutsk (gemellata con Pordenone e molto più piacevole di quanto me la ricordassi dal mio viaggio precedente, vent’anni or sono), trasferimento sul lago Bajkal e nello specifico al villaggio di Listvyanka – praticamente invisibile perché sommerso dalla nebbia. Il mattino dopo zacchete sull’aliscafo! Piccola parentesi: gli aliscafi che scorrazzano sul Baikal sono ancora meravigliosamente sovietici, ergo un’attrazione di per sé. Servono ore di navigazione per raggiungere da Listvyanka l’isola di Ol’chon, la più grande e anche l’unica abitata del Bajkal. Posto spettacolerrimo per chi ama l’outdoor, da esplorare rigorosamente in 4×4, che nello specifico si chiamano UAZ 452. Ah, che goduria! Sono delle scatole di latta scomode come le panche di una chiesa, ma molto più divertenti. Viaggiano come dei missili e si arrampicano come scoiattoli su qualsiasi pendenza, e spesso non si ribaltano. Anche gli UAZ 452 sono figli dell’URSS, ma sono ancora in produzione nella città di Ul’janovsk, Russia occidentale: avete presente Samara? Ecco, un po’ più a Nord.
Anyway, Ol’chon è un posto da starci una settimana, io purtroppo me la son fatta tutta in versione espressa, in un paio di giorni. Del resto mica ero in vacanza, sob! Ma non finisce qui. Dopo il Bajkal ancora Siberia. Aereo fino a Ulan Udė – dove non mi ero mai spinto – capitale della Repubblica autonoma della Buriazia. Occhi a mandorla e case in legno dalle imposte arcobaleno ma anche qualche bel pezzo da novanta di produzione sovietica, tipo una mega testa di… Lenin nel bel mezzo della piazza principale. Per non dire del tempio buddista di Ivolginskij Datsan – una delle belle sorprese del viaggio – aperto nientemeno che nel 1945, in pieno stalinismo. Poi, per non farmi mancare nulla, una bella gita in uno dei cento villaggi più belli di Russia: Tarbagatai. Ci abitano i “vecchi credenti“, movimento religioso russo che nel 1666-1667 si separò della gerarchia ortodossa in segno di protesta contro le riforme introdotte dal Patriarca Nikon. Tipi affabili abituati a socializzare coi turisti (a differenza di altre enclave di vecchi credenti), e con doti culinarie da non sottovalutare. A me hanno insegnato a preparare i buuz, tipici ravioli di carne mongolo-buriazi: slurp! Ma direi che non è il caso di raccontare tutto qui, altrimenti col cavolo che andate in edicola ad accaparrarvi una copia di Bell’Europa. E sarebbe un peccato, anzichenò.